Condivido volentieri il pensiero espresso da Italo Pentimalli e Patrizia Salvini nell’articolo già introdotto nella prima parte di “Problemi, questi amici”, aggiungendo alcune mie riflessioni ed esempi grafologici.
I due autori (formatore e imprenditore il primo, biologa e formatrice la seconda) affermano che l’Arte di Risolvere i Problemi può essere acquisita, ma che per farlo non basta una ‘formula’, ma – come per ogni allenamento – un costante esercizio che ci renda in grado di ottenere i risultati che desideriamo.
La parola d’ordine è dunque ‘costanza’, dico io, ma può essere tradotta anche in intenzione, motivazione, determinazione, volontà.
A monte di questa azione ‘proattiva’ si collocano i tre step, o le tre ‘mosse’ descritti da Italo Pentimalli e Patrizia Salvini per ottimizzare la propria Arte di Risolvere i Problemi (Problem Solving) che sono:
- riconoscere che i problemi sono utili, perché tramite l’esperienza ci permettono di acquisire strategie, in modo da poter affrontare in futuro problematiche simili in minor tempo e maggior efficacia:
- chiedersi ‘come posso’?, cioè concentrarci sulla soluzione e per far questo allenarsi a vedere possibili soluzioni ‘alternative’ o multiple al problema;
- accettare e lasciar fluire le proprie reazioni emotive, ‘mollare’ la tensione nervosa, rilassarsi per accedere allo stato d’animo più adatto per concentrarsi sulle soluzioni.
Ovviamente non è un percorso facile, certamente non è scontato; tuttavia è accessibile, forse non proprio a tutti, non vogliamo banalizzare chi ha problemi neurofisiologici gravi, dipendenze o patologie che ledono la volontà o la possibilità di concentrazione; tuttavia la gran parte di noi può applicarsi oltre le precedenti credenze o (pigre) abitudini, per raggiungere una buona capacità, perlomeno quotidiana di ‘problem solving’.
Ci sono centinaia di proposte in quanto a tecniche, esercizi (ne propongono anche i due autori ai quali mi sono fin’ora ispirata per questi due post), pratiche di ogni tipo, ognuno è libero di cercare quella che più gli corrisponde.
Tuttavia due sono i punti che vorrei affrontare adesso:
a) occorre prima di tutto riconoscere il proprio limite nel non essere (ancora) un buon risolutore di problemi;
b) attivarsi per cercare le strategie migliori per superare questi limiti.
Di solito a questo punto occorre ‘esercitarsi’, quindi – oltre alla chiarezza e alla giusta strategia, o tecnica – occorre allenare le proprie (nuove abitudini) e la propria volontà un po’ come si farebbe con i muscoli.
Sarebbe semplicistico elencare in questa sede gli indici grafologici della consapevolezza, della creatività o della volontà; anche perché essi non hanno valore a sé stante, ma in relazione gli uni con gli altri, in un contesto generale. E poi ho appena detto che alcune qualità possono essere ‘allenate’, quindi: a) esistono si terreni più fertili per la costanza dell’allenamento (endurance), ma: b) alcune tendenze possono essere trasformate grazie a tale allenamento. Occorre sicuramente quella che Goleman, nel suo famosissimo ‘Intelligenza emotiva’ del 1995, chiamava virus del buonumore, cioè la capacità di lasciarsi ‘contagiare’ dalle emozioni positive (e resistere o contrapporsi a quelle negative). Ma anche su questo terreno la persona può intervenire.
La grafologia, attraverso una migliore consapevolezza di sé, dei propri ‘talenti’, potenziali o espressi, può aiutare nei tre ‘step’ sopra descritti e può farlo per l’adulto, la coppia, l’adolescente e il bambino che si trovino in un momento di difficoltà o di svolta esistenziale.
Rafforzando i tre ‘step’ di consapevolezza, flessibilità, determinazione e volontà, anche la grafia si farà più areata, equilibrata, chiara, salda ma non rigida nella sua conduzione, legata, tonica, senza addobbi ridondanti.
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