Parliamo e cantiamo come scriviamo, dalla nostra grafia si può capire se la nostra voce è bassa o alta, aspra o suadente. Ecco un aspetto interessante della grafologia somatica.

La grafia esprime ciò che corpo e mente manifestano e lo fa in perfetta coerenza. Dimmi come scrivi e ti dirò che voce hai, come parli, come canti, con che ritmo ti esprimi.

Non so se è capitato anche a voi che le persone vi riconoscessero, anche decenni dopo l’ultimo vostro incontro, proprio dalla voce. Quando la memoria visiva, magari qualche chilo di troppo, il colore o taglio dei capelli cambiato non davano più sufficienti appigli al riconoscimento, la voce era, in condizioni non particolari di patologia o extrafumo (sic) ancora riconoscibile come ‘voi’.

 

Siamo sicuramente più avvezzi a sentire la voce di una persona nota che a vederne costantemente la grafia e questo la rende per noi particolarmente nota, quasi familiare.

Fra tutte le espressioni somatiche, la voce è probabilmente una delle più affidabili in quanto a continuità, vicina in affidabilità alla postura e il modo di procedere (incesso), al quale però forse di solito prestiamo meno attenzione.

Anche la simbologia riconducibile ad un certo tipo di voce è largamente riconosciuta; pensate a quando leggevate le fiabe o le interpretavate da bambini; voce alta e stridula per rendere la strega, bassa e cupa per operare la minaccia dell’orco o del lupo, canterina e leggiadra per gli innamorati, gli uccelli, gli animali ‘amici’, generalmente nasale e suadente per tutti i personaggi un po’ ‘subdoli’ e intriganti, tipo il Gatto e la Volpe in Pinocchio.

Lo sanno bene, attori speeker e doppiatori che con la voce ci lavorano e la modulano a seconda delle diverse qualità umane da rappresentare.

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Padre Moretti ha scritto molto su questo ed altri aspetti somatici rilevabile dalla scrittura, ma la sua opera specifica in questo settore è ‘Il corpo umano dalla scrittura – Grafologia Somatica’ in cui parla non solo della voce, che rimane per me uno degli aspetti più affascinanti, ma anche dell’occhio, della statura, dell’incesso; persino di denti e colore e qualità dei capelli.

Egli era dotato di una grande forza intuitiva e una particolare abilità ‘fisiognomica’ che solo a posteriori ha cercato di rendere chiara, trasmissibile ed organizzata nel suo metodo grafologico.Osservava e rivelava le tendenze umane dalla sola grafia, ma dall’incontro fisico con la persona poteva coglierne molte qualità del comportamento e soprattutto distinguere fra queste le innate dalle acquisite e azzardare anche ipotesi predittive del comportamento stesso, in specifiche situazioni educative o ambientali. Era un vero e proprio counselor e anche un profiler.

Con la sua grafologia somatica Moretti ci ha insegnato a cogliere sia gli atteggiamenti psicosomatici, sia le forme somatiche. Non si tratta di magia, ma di abilità a rintracciare il filo conduttore tra i vari modi espressivi della persona in quanto unità sfaccetata, si, ma coerente: una con sé stessa.

E questo vale sia che gli elementi grafici siano spontanei, fluidi, sia che siano oramai impastati di un certo (eccessivo) controllo volontario, quindi un po’ insinceri, poiché, come afferma Marguerie Yourcenar[1]: ‘La maschera, a lungo andare, diventa il volto’. Sempre gli attori sanno che si può mascherare non solo un viso, ma un sentimento, un’emozione, grazie al cambiamento dello sguardo, della postura, della stessa voce.

Lo studio della grafia in chiave somatica è relativamente più agevole di quello psicologico, poiché il soma stesso è più semplice, ma ovviamente la sua utilità è molto circostanziale.

L’elaborazione della voce nel cervello si sviluppa nelle prime fasi della vita del bambino. Uno studio condotto da scienziati britannici e tedeschi colloca tra i quattro e i sette mesi di vita il periodo in cui il lattante inizia a mostrare una sensibilità alla voce umana (e alle emozioni che comunica) simile a quella degli adulti.[2]Le regioni cerebrali sensibili alla voce sono già specializzate e modulate dalle informazioni emotive all’età di sette mesi.

Questo per documentare, se ce ne fosse bisogno, quanto la voce sia intimamente legata al nostro modo di essere, non fosse altro per il fatto che ‘vive’ del nostro respiro, del soffio stesso della vita.

Moretti tratta della voce e della grafia nel cap. 10 del libro già citato sopra, offrendo una serie di spunti interessanti al grafologo e a chi legge e scrive:

1- Timbro della voce

La voce secondo il timbro (o tono), può essere a) sonora o b) senza colore, quest’ultima può essere b1) stridula o b2) cupa.

a)    è adatta per il canto e può variare in intensità e altezza,

b)    non è adatta per il canto,

b1 e b2 possono essere usate in recitazione per esprimere caratteristiche un po’ caricaturali.

a)    Si accompagna ad una grafia parimenti modulata, con variazione armonica di  chiaroscuri e buona fluidità grafica,

b)    presenta un tratto più piatto, ma non necessariamente pesante, anzi:

b1) è piuttosto lieve ed uniforme, mentre

b2) è sia grossa che mancante di chiaroscuri.

2- Intensità della voce sonora

La voce, secondo la sua intensità può essere drammatica o lirica. La prima ha in genere tratto più marcato della seconda, sempre in ambito di buon chiaroscuro naturale. Questo non vuol dire di per sé che la persona possa, per il solo fatto di possedere una voce sonora, cantare l’opera, per questo occorre una predisposizione artistica e anche un duro lavoro, ma dal tratto si può desumere la ‘testura’ del tipo di voce naturale che lo scrivente possiede.

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[1]M. Yourcenar, Memorie di Adriano, Einaudi, Torino, 2002, p.95