Pubblico volentieri la terza e ultima parte del report a cura di….su una ricerca svolta nel nella Provincia di Udine sulla grafia a mano dei ragazzi.

I corsi
In seguito alla ricerca, sono stati proposti quattro corsi in scuole della provincia di Udine, ai quali hanno partecipato anche insegnanti che avevano accettato di realizzare la raccolta del materiale per la ricerca.  Il corso era diretto non solamente agli insegnanti di Scuola primaria, ma anche a quelle di Scuola dell’Infanzia, nella convinzione che il lavoro di preparazione alla scrittura e di cura dei prerequisiti debba interessare almeno i bambini tra i cinque ed i sette anni.
I corsi erano guidati dal proposito di riflettere sulle attuali e diffuse difficoltà dei bambini e sulle modalità di insegnamento, sulle possibilità di prevenzione della disgrafia.
In particolare sono state proposte poche competenze teoriche, ma si è dedicato maggior spazio a conoscenze pratiche per affrontare i problemi di motricità e utili a prevenire la disgrafia; è stato proposto Il Metodo Venturelli, un procedimento di insegnamento della grafia che permette uno sviluppo graduale dei corretti automatismi necessari per acquisire una scrittura leggibile, spazialmente ordinata e scorrevole. Il Metodo è stato sperimentato da tempo in Emilia Romagna e di recente in Lombardia.

Gli insegnanti hanno partecipato attivamente, coinvolgendosi e condividendo le difficoltà e le perplessità, ma anche l’entusiasmo, le esperienze e il desiderio di migliorare; spesso trasmettendo una vera e grande passione per il loro compito e condividendo competenze con i colleghi.
A volte hanno espresso il timore di abbandonare le abitudini per affrontare modalità talora molto diverse da quelle derivanti dalla loro esperienza, in particolare la maggior parte non si sente di rinunciare allo script, un passaggio usuale oramai da qualche decennio.  Il problema dello stampato minuscolo è generale, il suo uso è stato introdotto per favorire l’apprendimento della lettura: ancora una volta il predominio della lettura (che si acquisisce ugualmente) ha tolto spazio all’insegnamento della scrittura.
Lo script non è un carattere funzionale alle necessità dello scrivere: la grafia, per rispondere all’esigenza di avvicinare maggiormente la velocità del cervello alla lentezza della mano, deve poter essere non solamente chiara – aspetto che lo script può soddisfare – ma anche sciolta e veloce almeno in relazione all’età.  La fluidità e il dinamismo grafico richiedono anche l’abilità nel tracciato della singola lettera e nei collegamenti all’interno della parola.
Spesso gli insegnanti più giovani pensano che questa modalità sia sempre stata presente nella scuola e che sia indispensabile non solamente per facilitare l’acquisizione del corsivo, ma soprattutto per permettere al bambino di imparare a leggere.  La maggior parte dei maestri non ricorda che la lettura è stata possibile per generazioni di bambini senza questo faticoso ed inutile passaggio.
Inoltre l’uso dello script, in talune classi molto frequente, spesso nasconde una disgrafia, non facilmente individuabile da parte delle maestre: il tratto risulta comunque stentato, spesso rabbrividito e mai funzionale alla velocità.  Se si fossero considerate anche queste prove, la percentuale di bambini disgrafici sarebbe aumentata.
La confusione provocata dall’insegnamento di quattro caratteri contemporaneamente (stampato maiuscolo, stampato minuscolo, corsivo minuscolo e corsivo maiuscolo) porta talvolta all’utilizzo, da parte del bambino, di più caratteri anche nella stessa parola.
L’abbandono dello stampato minuscolo è oggi finalmente sostenuto e raccomandato anche da numerosi logopedisti.

Al termine dei corsi la maggior parte dei docenti ha manifestato esplicitamente la soddisfazione attraverso il questionario finale, che voleva verificare il gradimento del progetto.  La richiesta ricorrente da parte loro riguarda la possibilità di frequentare corsi che forniscano indicazioni concrete, che permettano di intervenire in modo efficace sui bambini. 

Alcune considerazioni
Nell’andare oltre la pura ricerca statistica, il lavoro svolto classe per classe e plesso per plesso, unito all’esperienza derivata dai corsi stessi, ha messo in evidenza alcuni aspetti, piuttosto significativi.
Un primo problema deriva dai materiali utilizzati non sempre opportuni.
La scelta delle penne è spesso inadeguata, dal momento che gli insegnanti non tentano di proporre quelle più funzionali, ma predomina spesso la scelta della penna cancellabile, per il piacere di vedere i quaderni “puliti” da ogni errore.  Questo non solamente impedisce al bambino di vedere i propri miglioramenti, ma spesso lascia solchi provocati da una forte pressione, che non è possibile togliere con la gomma.  L’uso di penne non adatte si riscontra in genere nella stessa classe, forse per la propensione dei ragazzi di imitarsi reciprocamente.

I quadernoni costituiscono un problema soprattutto per gli alunni delle prime classi: l’altezza della pagina, obbliga i bambini a una postura inadeguata, spesso a rimanere inginocchiati sulla sedia o a stendersi sul banco.  Sebbene poco diffusi, esistono in commercio in alcune zone, quaderni più larghi del quaderno classico, ma più corti e più adatti alle esigenze anche dei piccoli allievi.  In Italia sono comunque poco diffusi e più facilmente reperibili in altri paesi europei, quali l’Austria o la Germania, forse più sensibili a realizzare materiali più idonei.

I banchi sono a volte troppo alti, per il fatto che seguono le norme di sicurezza, certamente più comprensibili in una zona sismica come il Friuli.  Trovare un equilibrio tra l’affidabilità e la funzionalità non è purtroppo sempre possibile.

Le inadeguatezze nella grafia si sono presentate per classi, ogni aspetto poco corretto di scrittura è riscontrabile nella maggior parte degli alunni di una stessa sezione.  Questo potrebbe derivare dal fatto che non esiste un metodo per insegnare a scrivere, ma diversi metodi, a volte adattati sulla base delle conoscenze degli insegnanti stessi.
Questo dipende quasi certamente dal fatto che in Italia non esiste un metodo per l’insegnamento della scrittura, come in altri paesi europei, ma ognuno utilizza competenze acquisite nei modi più diversi e spesso riferendosi all’esperienza di colleghe più esperte.  Tale manchevolezza non è dipendente dal corpo docente, ma prima di tutto dai Programmi Ministeriali.
Nel variare delle indicazioni relative all’insegnamento della scrittura, i Programmi del 1955 raccomandano ancora di curare che la grafia sia chiara e scorrevole, pur lasciando spazio alla personalizzazione.  Successivamente, nell’idea di favorire la spontaneità, si rinuncia ad occuparsi del tratto grafico, per valorizzare solamente i contenuti.

Oggi mancano completamente precise indicazioni “sia sugli obiettivi sia sulle metodologie didattiche da adottare per la scrittura manuale, lasciando gli insegnanti senza alcun orientamento da seguire”. (3)
“In Inghilterra, (…) addirittura sono previsti cinque livelli di acquisizione delle abilità di scrittura per ogni fascia di età, dal periodo prescolastico alla quarta classe elementare.” (4)
Le singole lettere ed i collegamenti in questo paese vengono accuratamente insegnati, con la convinzione che lo spelling si impari meglio attraverso il corsivo.
In Francia le indicazioni sono estremamente precise, con la conseguenza di dare maggiore sicurezza a chi si occupa di questo insegnamento, complesso per chi insegna e per chi impara.

Nel DSM – IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), alla voce “Disturbo dell’Espressione Scritta” si legge che: “… viene di rado diagnosticata prima della fine della prima elementare perché un sufficiente insegnamento formale della scrittura non ha di solito avuto luogo fino a questo livello nella maggior parte degli ambienti scolastici.” (5)
Questa precisazione porta a riflettere sul fatto che nel manuale si considera indiscusso l’insegnamento “formale” della scrittura, scrittura che quindideve essere insegnata nel modo più funzionale ed efficace. L’insegnamento non va sottovalutato, come avviene invece da molto tempo nel nostro paese, nella scorretta idea di favorire così la spontaneità e quindi la creatività.

Le conseguenze psicologiche e pratiche negli alunni disgrafici perdurano nel tempo: inizialmente si crea una prima delusione provocata nei familiari e negli insegnanti, con la sensazione di non essere all’altezza di un compito “che svolgono tutti”.  In seguito il bambino viene spesso considerato poco volonteroso e pigro, perché è lento o per il fatto che la sua scrittura è “brutta” e manca del giusto impegno per migliorarla.
I consigli più frequenti, di insegnanti e dei genitori, riguardano la necessità di scrivere di più, ricopiare più volte, “sottoponendo a massacranti quanto inutili esercizi supplementari in corsivo, ottenendo come sostanziale risultato un consolidamento degli automatismi scorretti, un abbassamento ulteriore della sua autostima e un peggioramento del rapporto tra genitori e figlio.” (6)
Il malessere per questa mancata competenza si mantiene anche nell’età adulta e spesso l’incapacità di scrivere in modo comprensibile e funzionale diviene, anche nell’era dell’informatica, motivo di esclusione da esami e concorsi.

La visione degli insegnanti rispetto alla chiarezza e all’ordine non è uniforme, manca di un criterio di giudizio e questo fatto può condizionare l’attenzione e l’importanza data all’insegnamento dei diversi elementi funzionali alla scrittura; in particolare agli item valutati dalla scala D di Ajuriaguerra, secondo il criterio di insegnamento della scrittura particolarmente curato in Francia.

Riprendendo l’iniziale considerazione sulla legge Legge 170, dell’8 ottobre 2010 sui DSA, apprezzata da alcuni insegnanti e motivo di sollievo per alcuni genitori, va osservato che non è particolarmente positiva per i bambini disgrafici, che anziché essere aiutati a recuperare una competenza mai acquisita, vengono avviati all’uso del computer anche quando la rieducazione della scrittura potrebbe risolvere il problema alla base e senza ricorrere all’aiuto di strumenti informatici.

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(3) Venturelli A. (2009), Il corsivo: una scrittura per la vita, Milano, Mursia, p. 67
(4) Ib.
(5) DSM – IV – TR, p. 70
(6) Venturelli A., op. cit. p. 46