Vittorio Emanuele II: il ‘…padre degli italiani’ (IV/IV)

Ho lasciato per ultimo Re Vittorio Emanuele II perché è il più giovane dei ‘Fratelli d’Italia’ di cui mi sono occupata (1820-1878), vedi post I, II, III. Qualcuno, fra cui Massimo d’Azeglio, vociferò che si trattasse in realtà del figlio naturale di un certo ‘Tanaca’, macellaio fiorentino di Porta Romana, città d’origine della madre, in cui passò parte dell’infanzia. Non che fosse un figlio ‘illegittimo’, ma frutto di una vera e propria sostituzione fra vero figlio del re, che si diceva fosse morto da piccolo in un incendio e bambino d’origine popolana.

Sembra che gli stessi sovrani stentassero a credere che quel rampollo di bassa statura, tracagnotto, vivace e sanguigno, fosse sangue del loro sangue, sia somaticamente che caratterialmente, ma non vi fu mai nessuna conferma storica dello ‘scambio’.

A 22 anni Vittorio Emanuele sposa l’algida Maria Adelaide d’Asburgo, sua prima cugina per parte materna e sceltagli dalla famiglia. Lei è una donna molto pia e poco espansiva, ma comprensiva e obbediente, per cui il rampollo di casa Savoia, focoso per natura, non tarda a volgere altrove le proprie attenzioni maschili, in attesa che il padre gli offra qualche opportunità militare di peso.

 

La grafia di Vittorio Emanuele II mostra i segni dell’epoca, i ricci, gli svolazzi un po’ ammanierati della cultura del tempo, ma tutto sommato aggraziati. Abbiamo già visto come invece Cavour, di dieci anni più vecchio, se ne fosse quasi completamente liberato, predilegendo una grafia più personale e semplificata.

Pendente e Spavalda di Vittorio Emanuele (vedi Glossario) mostra un tipo di vitalità meno cerebrale di quella di Cavour e piuttosto protesa in avanti, nonostante non abbia nulla di grossolano. Si sa che amasse, oltre alle donne, la buona tavola tradizionale (non quella di corte) e forse lo si evince dal tratto pastoso e quegli ingrossamenti o inturgidimenti del filo di inchiostro, qua e là.

Anche Vittorio Emanuele, come Cavour e Mazzini, ha una grafia Piccola, ma qui gli allunghi sono più pronunciati; ci sono i Ricci di spavalderia (come in Garibaldi) e le lettere ‘g’ sono ben formate e legate alla lettera successiva. Buono il Largo di lettere e tra lettere, per cui possiamo parlare di contesto di comune buon senso ‘rurale’.

L’educazione del principe si racconta sia stata molto severa e lui, sebbene impermeabile ad ogni apprendimento teorico, ha mantenuto sempre fede agli orari e alle scadenze ‘da caserma’ che gli imponevano i precettori scelti dal distaccatissimo padre, Carlo Alberto. Non stupisce; la grafia ha un forte Mantiene il rigo, segno di stabilità, capacità di tenere la rotta e fede agli impegni presi, perseguimento degli scopi e coerenza degli orientamenti. Mantiene il rigo e i tagli delle ‘t’ tonici, protesi con slancio verso destra (post) danno anche, una certa’franchezza’.

La firma è più grande del testo, ma si tratta dell’erede al trono prima e, succesivamente, del re! In questo caso il suo ‘marchio’ evidenzia, contrariamente dal testo che è più controllato e ‘gestito’, un sentimento dell’Io piuttosto forte, ma un po’ di egocentrismo diciamo che ‘ci sta’ col personaggio. Il tratto mostra generosità e espansione e più intraprendenza di quanta le passate cronache non siano state disposte a riconoscergli, l’angolo alla base delle lettere (vedi sopra) ci dice che Sua Maestà fosse anche un po’ permaloso.

Cavour, col suo Minuta attento ai dettagli, gli rimproverava di non avere forza, ma forse era troppo preso dai suoi disegni strategici (lui si che era un gran diplomatico!) e non gli perdonava la predilezione per il ‘focoso’ Garibaldi, col quale Vittorio Emanuele aveva sempre mostrato una certa intesa, poiché in lui ammirava il generale e condottiero.

Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide ebbero otto figli, fra cui la Santa di Mocalieri, Maria Clotilde, la sua prediletta. Egli rimase presto vedovo dalla moglie, che morì esausta a soli 33 anni. Lui, nel frattempo, oltre a una serie di incontri fugaci e notoriamente ‘popolani’, aveva già da lustri una stabile relazione con la smaliziata Rosa Vercellana, una donna semplice, godereccia e affezionata che gli darà altri figli, pare che non si contino i discendenti illegittimi del primo re d’Italia.

I due amanti si sposarono, in punto di morte del sovrano, con un matrimonio morganatico (che assicurava un ‘dono’ di sostentamento alla sposa, spesso di più basso rango sociale, ma escludeva lei e la sua discendenza dall’asse erditario del consorte, in fatto di beni, privilegi e di titoli).

Se anche la spinta verso la ‘caccia’ è sempre stata forte nella vita di Vittorio Emanuele II, egli non mancò di garantire alla ‘bella Rosina’ e ai figli avuti da lei un certo benessere e stabilità e questo si deve anche al suo forte Mantiene il rigo, Pendente e al Largo tra lettere (lo spazio di legittimità e ascolto che si offre al ‘Tu’).

Prima della ‘bella Rosina’, Vittorio Emanuele aveva letteralmente perso la testa per la spregiudicata Laura Bon, forse l’unica donna complessa che abbia frequentato e con la quale la rovente relazione poi finì, probabilmente non per ragioni di ‘letto’.

Massimo d’Azeglio, che evidentemente si attribuiva un ‘talento’ come biografo del re, scherzò anche sull’appellativo che era stato attribuito a Vittorio Emanuele II: ‘Padre della patria’, trasformandolo nel malizioso ‘padre degli italiani’ (tranquilli, troverò anche la grafia di d’Azeglio!).

Valeria

 

 

 

 

Le grafie prodotte per illustrare il post non sono necessariamente quelle utilizzate per la misurazione dei segni della stessa grafia.